Storia meteo di Agnone, un tuffo nel passato [Parte 2]

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By paolo

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Proseguiamo con la storia meteo di Agnone dopo l’articolo di martedì scorso. Come detto in questo articolo di parlerà nello specifico della neve, dei suoi ricordi tra scuola e lavoro, dei disagi e dell’abbigliamento utilizzato durante le fredde e nevose giornate invernali.

Come detto, gli articoli sono tratti dal libro “La ripa dei campanili: c’era una volta Agnone” di Salvatore Galasso su segnalazione di Antonio Meccanici che ringraziamo nuovamente. Ringraziamo anche Fabio Verdone per l’immagine di copertina.

La neve

Fiocca, la neve fiocca recitava l’inizio di una nota canzone di settant’anni fa e quanta neve ricordo, alta, da terra, ottanta, novanta centimetri!

Non erano molte le nevicate, una ventina in media all’anno, secondo le osservazioni dei dottori De Horatiis, ma, in certi anni, superarono i 30 giorni arrivando, un anno, a 35. La neve, in Agnone, è accompagnata, spesso, dal vento e pertanto tende ad accumularsi nei punti più esposti. Ricordo la porta San Nicola, aperta ai venti di nord, con mucchi, a forma di duna, alti anche tre metri e rammento il mio stupore quando scoprii, la prima volta, il silenzio ovattato del paesaggio con la neve nell’aria rarefatta; le campane del mattino avevano un suono fesso come fossero incrinate e la campanella, che allora chiamava a scuola i fanciulli delle elementari, sembrava avere uno straccio avvolto sul battaglio.

Certe sere la neve caduta e senza orme dei passanti amplificava la luce dei lampioni perché la rifletteva in massima parte e tutto il paesaggio sembrava di fiaba. Quante volte il tram, partito alle 6:40 con la prima corsa verso Pescolanciano, doveva arrestarsi sulla salita oltre il Verrino! La vettura motrice aveva, si, lo spartineve ma, contro la neve ammucchiata dal vento, era impotente, anche per la ridotta aderenza delle ruote sulle rotaie gelate. In tale emergenza, le ruote slittavano e non c’era sabbia che bastasse ad impedirlo; allora, dovevano intervenire i cantonieri per la spalatura manuale ma il loro impegno poteva durare, non solo ore, bensì anche giornate intere.

I disagi della neve

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A proposito dei mucchi di neve ricordo che alcune donne fecero, in uno o due inverni, la spola tra la casa di Antonio Cocucci – soprannominato “ru nnacquaro” perché vendeva bibite sciroppate fredde durante l’estate – e la porta S. Nicola dove prelevavano blocchi di neve gelata trasportata con conche di rame sulla testa. Nella cantina del destinatario la neve veniva pressata e ricoperta di paglia resistendo senza sciogliersi fino alla stagione calda. In mancanza del ghiaccio dei frigoriferi faceva comodo la neve conservata!

Quando la neve cade la temperatura è di 0°C o poco meno ma, dopo che smette e resta schiacciata dai passati, la temperatura si abbassa, pertanto si forma il ghiaccio che fa diventare scivoloso il fondo stradale. Spesso, in Agnone, la neve precipita sotto forma di nevischio. Questo è costituito da granuli di ghiaccio trasparente e traslucido formatosi nell’atmosfera sotto l’azione turbinosa di venti gelidi. Il nevischio, com’è noto, soffoca il respiro, si avventa contro gli occhi, riducendone la vista; se trova capelli e sopracciglia scoperti li ghiaccia repentinamente, gela la faccia, penetra dappertutto con veemenza e costringe a non uscire dai luoghi chiusi. Non c’è riparo di ombrello che tenga. Quando si apre una porta esterna od una finestra, in un attimo entra prepotentemente attraverso il vano appena spalancato. Diminuisce la visibilità e, se si è controvento, sbilancia la posizione eretta del corpo ed occorre fare uno sforzo per reggersi in equilibrio. Il nevischio non si ammucchia ma rende più scivolosa la strada ghiacciata.

Ricordi: la scuola ed il lavoro

Ricordo che, una mattina di fine gennaio ’33, una violenta tempesta di vento con abbondante nevischio si era abbattuta fin dalla notte mettendomi di fronte all’alternativa se espormi o non al turbinoso maltempo per recarmi a scuola. Scelsi coraggiosamente di andare, però tutto intabarrato e finanche con il grasso sugli scarponi affinché la neve non vi aderisse. Sul tragitto chiamai, come al solito, mio cugino che frequentava la stessa quinta classe elementare ma sua madre mi chiese, allarmata, come mai mi avessero fatto uscire con quel tempo da lupi, aggiungendo che il figlio lei non lo avrebbe lasciato andare. Mi invitò, anzi, a fermarmi senza proseguire ed io non volli sentire altro. Mi trattenni anche a pranzo ma, nel primo pomeriggio, il tempo migliorò e, siccome l’orario scolastico allora era spezzato, decidemmo di affrontare la tormenta attenuata per recarci a scuola.

Appena varcammo la porta dell’aula di lezione, il maestro ci accolse sarcasticamente con un “ecco i soldati del Papa” cui seguì l’odiosa risata dei compagni di classe arrivati prima di noi. Ricordo, inoltre, una mia pingue professoressa di lettere, proveniente da Napoli con nomina tardiva, ai primi di dicembre 1933. Che rimase così spaurita dal nevischio, forse scoperto per la prima volta qualche giorno appresso al suo arrivo che, dopo le vacanze natalizie, non si vece rivedere e venne sostituita da altro insegnante. La neve per i fanciulli è sempre motivo di festa. Subito scattava loro la tentazione di fare pupazzi, piccole grotte, formare palle di neve da lanciare a grandi e piccoli. Aver avuto a disposizione, allora, uno slittino od un paio di sci quale felicità avrebbero procurata!

Quando una nevicata notturna era abbondante, i commercianti, all’apertura mattutina del negozio, dovevano spalare la neve sia per accedervi e sia per riuscire a smuovere i grandi e pesanti antoni d’ingresso che si aprivano all’esterno; poi, accendevano il carbone sul braciere che collocavano, temporaneamente fuori, per farlo ardere sotto l’azione delle correnti d’aria e per disperdere il velenoso ossido di carbonio che si formava all’inizio della combustione.

Abbigliamento

Gli anziani, ma anche i meno anziani, si aiutavano con bastoni dalla punta metallica per non scivolare e le donne, soprattutto, calzavano, sopra le scarpe, calosce di gomma nera lucida per non far bagnare le estremità. Tuttavia, queste restavano umide per ovvie difficoltà di traspirazione. Dal freddo ci si difendeva con gli indumenti di lana. Ricordo i panni tessuti a mano dai contadini con fibra di lana greggia filata nel lanificio locale. Le matasse di lana per i panni venivano prima tinte con indaco naturale e poi tessute ai telai di legno a pedale manovrati da alcune donne laboriose per uso proprio o su commissione. La maglieria intima e calzettoni erano, invece, lasciati di colore naturale o melànge a seconda che i velli di provenienza fossero di pecore bianche o bianche e nere mescolate. E come pungeva quella lana cruda sulle pelli delicate di donne e bambini!

Per le calze non tutti sopportavano la lana; infatti era più frequente l’uso di calze confezionate a mano con filato di cotone quasi sempre di colore nero. Lo sferruzzate continuo e generalizzato delle nonne, più di tutte impegnate in tale incombenza, simboleggiava l’operosità e la pazienza muliebri. Altra difesa contro il freddo e la neve erano i caratteristici mantelli a ruota degli uomini adulti, con o senza bavero di pelliccia, talvolta con cappuccio. I giovani erano contrari al mantello perché questi conferivano un aspetto maturo ed antiquato e pertanto preferivano il cappotto.

Le donne, per difendersi dal nevischio che investiva i loro capelli lunghi annodati sulla nuca a toupet, adoperavano ampi scialli di lana bouclè a colori spenti o di lana più fine quasi sempre di colore nero. Molte donne anziane facevano uso di uno scialletto detto pannuccio che copriva la testa ed il busto ma sembrava più una foggia che un vero riparo. Le contadine portavano, per copricapo, fazzolettoni di lana a fiori, annodati sotto il mento. Nella buona stagione, gli stessi fazzolettoni, che completavano l’usuale abbigliamento femminile, erano di cotone, sempre a fiori, e servivano a ripararle dai raggi del sole.

La neve, da sempre una componente fastidiosa ed inevitabile degli inverni agnonesi, rappresenta, attualmente, un ostacolo notevole al transito pedonale ed alla circolazione cittadina, anche se non cade in abbondanza, il parcheggio delle auto, immobilizzate accanto ai marciapiedi, rende tutto più difficile.